Ognuno passa quelle mezzore che fuoriescono dalle mille cose da fare come vuole. 30 minuti che saltano fuori così, varchi spazio-temporali che arrivano a caso 🙂 Bene, io mi sono ritrovata a leggere un servizio su un noto settimanale femminile allegato il sabato a un quotidiano. In questo periodo Tel Aviv risuona spesso nelle mie orecchie. Così, a caso mi ritrovo serafica a bere un caffè al bar e una tipa con la quale ho lavorato anni fa, mi chiede consigli sul suo prossimo trasferimento a Tel Aviv. Un tipo che chiacchiera sul tram dice che Milano è gemellata con Tel Aviv. E adesso il reportage nel settimanale. Bene, tutti a parlare bene di quella città che mi ha ospitata per qualche tempo. Respiro e cerco di non ricordare me stessa la notte seduta sulla panchina in Dizengoff mentre guardo film muti proiettati da una vetrina. Non è una cosa così deprimente come potrebbe sembrare, giuro! Il fatto è che quando vivi a Tel Aviv, ma anche quando ci passi non puoi fare a meno di pensare, secondo me, che a pochi km c’è il delirio e non mi dilungo, c’è la guerra. Ci vuole un gran pelo sullo stomaco a vivere come se il conflitto israelo-palestinese non esistesse. Come fanno ad esserci così tante imprecisioni, le vogliamo chiamare così?!, in un reportage. La speculazione edilizia a Jaffa, diventa la nascita di un bellissimo quartiere fighetto ricco di locali, mostre, appartamenti, mercatini. Certo Jaffa è antica e Tel Aviv fa cagare da un punto di vista architettonico. Non ho mai capito l’elogio della "città bianca". A me sti grattacieli a bordo spiaggia non fanno proprio impazzire. Quando uscivo dal lavoro, andavo spesso nella vicina Jaffa a bere un the, stuzzicare, fumare narghile magari con un’altra ragazza. Vedevo quel cazzo di complesso super lusso che incombeva sulla piazza e mi infilavo nel locale semi buio, un po’ scasciato, spesso con solo ragazzi arabi dentro. Una volta che avevano capito che nè io nè la mia accompagnatrice occasionale eravamo lì per invadere il loro ultimo cantuccio, ci sorridevano e ci portavano da bere. Io di Jaffa avevo bisogno durante la settimana prima di fuggire verso i territori palestinesi. Io non riuscivo ad andare alle mille feste della bianca Tel Aviv serena e felice, io mi sentivo male ad andare in giro con i gggiovani locali. Ci ho provato e lasciamo stare cosa non è successo. Tornando al reportage. Non si possono scrivere le cose a metà. Sarebbe corretto scrivere che camminando sulla bianca spiaggia di Tel Aviv (eleogiata come ritrovo di surfisti) oltre Jaffa, oltre Ashdod e Ashkelon si arriva a Gaza (sono davvero una manciata di km). E per favore non diciamo che in Istraele ci si saluta dicendo jalla bye perchè lì si incontrano Oriente e Occidente. Un pugno in pancia se penso ai piccoli palestinesi dei campi profughi che ti dicono speranzosi jalla bye. Souk, bar, design e dolcetti arabi e magari un po’ di humus: il perfetto incontro tra Oriente e Occidente. Pietà.
Tel Aviv – Jaffa
Ognuno passa quelle mezzore che fuoriescono dalle mille cose da fare come vuole. 30 minuti che saltano fuori così, varchi spazio-temporali che arrivano a caso 🙂 Bene, io mi sono ritrovata a leggere un servizio su un noto settimanale femminile allegato il sabato a un quotidiano. In questo periodo Tel Aviv risuona spesso nelle mie orecchie. Così, a caso mi ritrovo serafica a bere un caffè al bar e una tipa con la quale ho lavorato anni fa, mi chiede consigli sul suo prossimo trasferimento a Tel Aviv. Un tipo che chiacchiera sul tram dice che Milano è gemellata con Tel Aviv. E adesso il reportage nel settimanale. Bene, tutti a parlare bene di quella città che mi ha ospitata per qualche tempo. Respiro e cerco di non ricordare me stessa la notte seduta sulla panchina in Dizengoff mentre guardo film muti proiettati da una vetrina. Non è una cosa così deprimente come potrebbe sembrare, giuro! Il fatto è che quando vivi a Tel Aviv, ma anche quando ci passi non puoi fare a meno di pensare, secondo me, che a pochi km c’è il delirio e non mi dilungo, c’è la guerra. Ci vuole un gran pelo sullo stomaco a vivere come se il conflitto israelo-palestinese non esistesse. Come fanno ad esserci così tante imprecisioni, le vogliamo chiamare così?!, in un reportage. La speculazione edilizia a Jaffa, diventa la nascita di un bellissimo quartiere fighetto ricco di locali, mostre, appartamenti, mercatini. Certo Jaffa è antica e Tel Aviv fa cagare da un punto di vista architettonico. Non ho mai capito l’elogio della "città bianca". A me sti grattacieli a bordo spiaggia non fanno proprio impazzire. Quando uscivo dal lavoro, andavo spesso nella vicina Jaffa a bere un the, stuzzicare, fumare narghile magari con un’altra ragazza. Vedevo quel cazzo di complesso super lusso che incombeva sulla piazza e mi infilavo nel locale semi buio, un po’ scasciato, spesso con solo ragazzi arabi dentro. Una volta che avevano capito che nè io nè la mia accompagnatrice occasionale eravamo lì per invadere il loro ultimo cantuccio, ci sorridevano e ci portavano da bere. Io di Jaffa avevo bisogno durante la settimana prima di fuggire verso i territori palestinesi. Io non riuscivo ad andare alle mille feste della bianca Tel Aviv serena e felice, io mi sentivo male ad andare in giro con i gggiovani locali. Ci ho provato e lasciamo stare cosa non è successo. Tornando al reportage. Non si possono scrivere le cose a metà. Sarebbe corretto scrivere che camminando sulla bianca spiaggia di Tel Aviv (eleogiata come ritrovo di surfisti) oltre Jaffa, oltre Ashdod e Ashkelon si arriva a Gaza (sono davvero una manciata di km). E per favore non diciamo che in Istraele ci si saluta dicendo jalla bye perchè lì si incontrano Oriente e Occidente. Un pugno in pancia se penso ai piccoli palestinesi dei campi profughi che ti dicono speranzosi jalla bye. Souk, bar, design e dolcetti arabi e magari un po’ di humus: il perfetto incontro tra Oriente e Occidente. Pietà.