Azzore, le isole dalle nuvole veloci

bagno_nel_vulcanoGuardare le nuvole è sicuramente una delle attività più impegnative di una vacanza alle Isole Azzorre, corrono veloci nel cielo. Non valgono le previsioni del tempo, finalmente ci si libera dai fan delle previsioni del tempo. Fai ciò che vuoi, guarda le figure nel cielo.

Vai al chiosco. Che belli i chioschi. In piazzetta, in riva al mare, nascosti dietro a una rimessa. Fantastici tavolini dai colori sbiaditi, ombrelloni imprigionati in massi di cemento. Caffè, birra, bibita, patatine, gelati fluo. A te la scelta senza troppe menate.

Onde. Le guardi, le attraversi, ci giochi, ti ci scontri, stai sulla cresta cercando di nuotare veloce come lei. Ridi. Tremi. Guardi chi è più audace di te.

Oceano. Fresco, meravigliosamente fresco. Lo rispetti, alla fin fine sei tu che entri in un ambiente che non è il tuo, quello marino. Qualcuno se ne dimentica. Molti lo ammirano. Alcuni lo sfidano con una tavola sotto ai piedi.

ortensia

Colore: il blu. Non solo quello del mare, ma delle ortensie. Il pericolo è ti prenda il trip di immortalare tutte le tonalità delle migliaia di ortensie selvatiche che crescono a bordo strada.

Scarpe: da ginnastica. Cammini e cammini parecchio, vivi meglio con le sneakers!

Parola: vulcanico. Sono isole vulcaniche, vedrai rocce vulcaniche, terreno vulcanico, colori (il blu dei fiori) dati dalle sostanze vulcaniche nel suolo, grotte vulcaniche, crateri vulcanici, fumi vulcanici, laghi vulcanici…

Terme. Calde, molto calde e ovviamente vulcaniche. Gialle. Odore di zolfo, felci e palme intorno alle pozze o ai laghetti.

piscina_oceanicavegetazione

praia_formosa

 

 

 

 

Piscine. Non ho ancora capito come facciano a costruirle nell’oceano. Ma bagnasi in queste mega pozze dove entrano le onde è fantastico.

Balene e balenieri. Non abbiamo visto la coda della balena da vicino, io l’ho vista dall’aereo. Animali immensi come l’oceano che si apre dalle piccole insenature da dove partivano i balenieri.

 

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Passando fra le Isole Azzorre e l’Algarve

nostalgia_canaglia La bevanda. Grande indecisione. Ce ne sono state due: la birra Mini (bottiglietta di vetro corrispondente a una piccola), il the freddo o limao. Budget che ti sorride: la prima costa 80 centesimi, la seconda 1,20 euro.

Il cibo più buono: sardine, calamari, ananas. Tanta altra roba, ma alla fine adesso, proprio adesso mi mangerei una di queste pietanze.

Capriccio. Raffle originau. Ovvero le patatine senza l’aggiunta di paprika, aglio o aceto.

Motorino. Divertente, libero, il mezzo più abbordabile per spostarsi.

Wi-fi. Libero, nei bar, nei ristoranti, negli aeroporti, nei chioschi, nei posti dove dormi (ovviamente è sempre gratuito). L’Italia ha piacere di essere sempre un Paese che sta un passo indietro.

spiaggia_di_casa_azzorrepiscine_vulcaniche_azzorrePrezzi. Nessuno ti regala niente, ma paghi 2,50 euro in due per bere qualcosa seduto a un tavolino. Non ti portano noccioline, olivelle o patatine. Chissene. Pericolo: quando torni odi tutti i bar della tua città, nessuno escluso.

Persone, basta rilassarsi e condividere un tavolo o chiedere un passaggio e si conoscono. Un pilota tornato nella sua isola natale per disputare un rally e vincere dopo 18 anni di assenza, una meccanica svizzera con il cane, un bagnino che lavora nel ristorante dello zio che va ogni due settimane a Lisbona a vedere giocare il Benfica, la sua fidanzata che sorride e ti offre la sua casa nel centro del paese, un regista italiano che non ti vuole dire il suo nome, un vecchio americano che tifa Juve (arg), un giudice che lavora in un’isola in mezzo al Pacifico…

 

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Algarve, 10 anni dopo

azulejosGente, molta più gente. Ma è il destino dei posti belli ad agosto.

Due diversi paesaggi. Verso la Spagna piatto con lingue di sabbia dorata, dall’altro lato con faraglioni e baie da favola.

Conchiglie. Una cifra di conchiglie. Le persone che la sanno lunga raccolgono molluschi sul bagnasciuga e se li portano a casa. La quantità è impressionante. Ostriche che costano come vongole.

Non ti libererai mai del… coriandolo. Non si usa il prezzemolo, ma il coriandolo con il suo odore forte.

praia_do_paraisoPraia do Paraiso. Non posso aggiungere altro, il suo nome dice tutto.

I Mori. Se proprio non riesci a pensare solo alla sabbia, guardati in giro e renditi conto che l’Europa e il mondo arabo sono intrecciati da secoli e secoli. Forse vedrai l’immigrazione in modo diverso al tuo ritorno.

Colore: il giallo. Io adoro il giallo. Io molto contenta. In realtà vai dal giallo all’arancio con striature rosse. I faraglioni sono meravigliosi.

Da evitare: le cittadine. O meglio, passarci sì, magari a fare due passi per vedere le tracce di storia, fra torrette, mura e case bianche. Per mangiare, perché hai tanta più scelta. Per prendere gli autobus o i treni locali.

io_in_cascatacosta_portoghesespiaggia_algarve_desertaSpedizioni. Dai porti dell’Algarve sono partite le spedizioni verso l’Africa e il nuovo mondo. Uomini temerari guidati da diverse aspirazioni. Facciamo che li immaginiamo vogliosi di scoprire e incontrare il nuovo e non pensiamo all’aspetto dell’avidità e dello schiavismo.

La parola nuova che entrata nel mio vocabolario quest’estate è araucaria. Cos’è? Una pianta.

 

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We are on strike

Per sciopero s’intende ogni astensione collettiva dal lavoro di lavoratori subordinati promossa dai sindacati – ma è concepibile anche uno sciopero proclamato da gruppi intra-aziendali o interaziendali, senza alcun intervento del sindacato –, avente per finalità di ottenere, esercitando una pressione sui datori di lavoro, miglioramenti della situazione economica e delle condizioni di lavoro rispetto a quelle disciplinate dal contratto collettivo nazionale di lavoro.

(…)

L’articolo 40 della Costituzione italiana disciplina il diritto di sciopero, stabilendo che esso «si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano».

(…)

definizione estrapolata da wikipedia (link http://it.wikipedia.org/wiki/Sciopero)
Informati, chiedi ai lavoratori e alle lavoratrici in sciopero il suo significato, fai sciopero anche tu.

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Girls, mo basta

Sentenza della Cassazione
20 febbraio 1967:
Costituisce violenza qualsiasi impiego di forza fisica esercitata sull’altrui persona, maggiore o minore, a seconda delle circostanze, che abbia posto il soggetto passivo in condizione di non poter opporre tutta la resistenza che avrebbe voluto. Mentre non può raffigurarsi violenza in quella necessaria a vincere la naturale ritrosia femminile.

Sentenza Tribunale di Bolzano
30 giugno 1982:
Qualche iniziale atto di forza o di violenza da parte dell’uomo, secondo una diffusa concezione, non costituisce violenza vera e propria, dato che la donna, soprattutto fra la popolazione di bassa estrazione sociale e di scarso livello culturale, vuole essere conquistata anche in maniere rudi, magari per crearsi una sorta di alibi al cedimento ai desideri dell’uomo.

Siamo negli anni Ottanta e i reati di violenza sessuale vengono classificati secondo il codice Rocco d’epoca fascista, che li considera “delitti contro la moralità pubblica e il buon costume”. Ci sono voluti 20 anni per fare una legge contro la violenza sessuale.

Sentenza Tribunale di Roma
28 giugno 1985:
Si è da taluno sostenuto che, se il reato viene commesso in danno della moglie, deve essere considerato impossibile, in quanto il debito coniugale va compreso tra i diritti/doveri derivanti dal rapporto matrimoniale. Ad avviso del collegio è da escludere la possibilità di limitazioni in tema di relazioni sessuali tra i coniugi. Il rapporto sessuale tra marito e moglie non può che essere basato sul consenso di entrambi, quali soggetti liberi e compartecipi.

1995:
Per iniziativa di alcune deputate donne di diversa appartenenza politica (e ci mancherebbe) nel 1996 viene approvata la legge contro la violenza sessuale che classifica come crimine contro la persona il reato di violenza sessuale. Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringa qualcuno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da 5 a 10 anni (salgono da 6 a 12 se su un minore). La stessa pena è inflitta a chi induce altri a compiere o subire atti sessuali (ci sono state poi modifiche e approfondimenti negli anni seguenti).

2012:
In altri paesi europei lo stupro di gruppo è un aggravante, in Italia è il contrario.

A chi interessa il tema consiglio la lettura di quest’articolo de Linkiesta o i post di Femminismo a Sud o le discussioni con le persone che ci circondano. Su nessun grande giornale (almeno così vengono definiti) si parla di questa novità della cassazione se non con articoli che non superano le 2000 battute, insomma, un semplice fatto di cronaca.

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Finanziamenti pubblici, la difesa sbagliata

Non voglio entrare nel dibattito sulla correttezza o meno dei finanziamenti pubblici all’editoria. Ci sono motivazioni giuste sul perché ci debba essere e altre che giustamente la vorrebbero far sparire per come funziona. Detto questo, i punti che Stefano Menichini (direttore di Europa Quotidiano) mette in luce per difenderla, li trovo fuori tempo. Vive in un altro pianeta, come tanti altri, ma deve aver lasciato, come tanti altri, il suo avatar molto attivo sulla Terra. Ho letto questo suo post sul Post .

Non mi interessa la discussione particolare sul Foglio: leggo e aspetto che si entri nel merito dei contributi all’editoria. Bene. Si analizza la realtà.

“Il paradosso è quasi ovunque lo stesso. Più o meno condivisibile che sia, la produzione intellettuale e giornalistica di molte di queste testate è riconosciuta, circola, rimbalza, crea opinione e contrasto. Insomma, funziona. Ma non remunera.”

Effettivamente è così, Cosa vogliamo fare? Non si torna indietro nel tempo.

“Quelli che per leggere sono disposti a recarsi in edicola e spendere sono pochi, mentre la stragrande maggioranza di quelli che usufruiscono dei contenuti (magari di qualità, elaborati da strutture redazionali regolari dunque onerose per quanto leggere) lo fa gratis sulla rete, e ormai ritengono la gratuità un diritto acquisito. Pur di averla garantita – si trattasse anche solo di spendere un euro – sono disposti a scambiarla con meno qualità, con contenuti più improvvisati, meno professionali, tanto il consumo è rapido e l’offerta pressoché illimitata.”

Continua il lamento e la “colpa”  di questa situazione viene a poco a poco delineata: 
1. la rete che è gratuita e cattiva (ci sono importanti testate – non italiane ovviamente – che sperimentano altre vie facendo dei contenuti gratis e altri a pagamento, sperimentano, ci provano, mentre continuano a difendere il valore delle loro edizioni cartacee. Oltre a chiacchierare provano quantomeno a fare qualcosa arricchendo i dibattiti sul domani con delle basi reali). Demonizzare il web non serve a nulla. Chi scrive meglio e fa contenuti originali primeggia, è così. In ogni caso o ti confronti con la produone web o sei destinato a morire.
2. la gratuità è ritenuto un diritto acquisito. Dov’è il problema? io ad esempio cerco la qualità e se è gratis è meglio. E’ normale ed è reale. Il punto non è sul gratis o a pagamento, ma sulla qualità di quello che scrivi.
3. il consumo è rapido. La scoperta dell’acqua calda: vale per tutto, anche i contratti sono rapidissimi: durano anche pochi giorni (quando li fanno), il mio ultimo ha avuto durata mensile. la nostra società è basata sulla velocità di adattamento. a me non piace, non mi piace il modello che abbiamo sposato. Bene, e il problema è quando si riversa sulla produzione di news?

“Non credo che la massa dei moralizzatori con i loro opinion leader se ne renda conto, ma la campagna contro i contributi pubblici all’editoria politica, cooperativa e di partito è il frutto più avvelenato – a me talvolta pare perfino l’unico – di quell’odioso neoliberismo selvaggio che in altri campi porta le medesime persone a sfilare indignate nelle piazze.”

Arrivata a questo punto, ho avuto una seria difficoltà el riuscire ad arrivare alla fine dell’articolo: il frutto più avvelenato del neoliberismo è la campagna contro i contributi pubblicici all’editoria politica? E’ aberrante una posizione di questo tipo. possiamo dre che è una delle tate conseguenze del neoliberismo. Ma andare oltre è assurdo.

“«Se non sai vivere nel mercato, è giusto che tu muoia» è la frase che mi sento rivolgere sempre, da gente che non si permetterebbe mai di parlare così a un minatore del Sulcis, a un metalmeccanico di Termini Imerese, a un panettiere di Milano, a un orchestrale dell’Opera di Roma, a un attore del Valle. Siamo in tanti fuori dal mercato, forse ci siamo tutti, voglio dire tutti gli italiani: vogliamo morire abbracciati? Può disprezzare tanto il valore della produzione intellettuale, giudicandola non meritevole di tutela né di sostegno, chi magari in altra sede si straccia le vesti per il degrado culturale del paese (sempre colpa di qualcun altro)? E dove possono trovare spazio i precari da tre euro al pezzo, formarsi nuove professionalità, competenze e intelligenze, se su piazza rimangono solo i colossi? Si fa l’esempio – notevole ma peculiare – del Fatto, che è nato e prospera solo sulle proprie forze. Ma dal direttore in giù, quasi tutti coloro che ne fanno il successo sono cresciuti dentro piccola, grande o grandissima editoria sovvenzionata.”

Certo che fra un minatore e un giornale, una persona (istintivamente) sceglie di salvare la vita del minatore e non del giornale. Pensa che la stessa motivazione del “devi morire se non sai vivere nel mercato” la rivolgono anche ai precari che evidentemente non sono abbastanza bravi o flessibili per meritare un posto di lavoro stabile.  In ogni caso sono d’accordo che la soluzione non è morire tutti abbracciati. Però sono inorridita quando leggo che con la chiusura di queste testate i precari da 3 euro a pezzo perderanno il lavoro. Io ho un’altra prospettiva: pagare 3 euro a pezzo è il problema su cui discutere e non mantenere i posti che ti fanno lavorare per 3 euro a pezzo. 
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Donne e donne


 

 

 

 

Piazza Tahrir alle donne, una carica che ci voleva. Le immagini sono bellissime, le donne tutte diverse, ma unite. Veli, mica veli e classificazioni care all’occidente democratico per misurare il livello di maturità di una società. A parte questo, una boccata d’aria fresca in un paese che ha donne e uomini che hanno voglia di lottare per il loro futuro, che si metto in gioco, occupano lo spazio pubblico e costringono il potere (che sia quello formalmente eletto o meno) a confrontarsi con una popolazione che pulsa e che non ci sta a tornare nell’ordine precostituito nel nome della democrazia, della stabilità nazionale, della crisi economica e chi più ne ha ne metta. «Dicono che sono qui per proteggerci (i militari del Consiglio Supremo delle Forze Armate), ma ci spogliano soltanto». Le donne egiziane non ci stanno. In contemporanea con la protesta femminile egiziana, in Ucraina tre attivite di Femen sono state portate in un bosco e spogliate (guarda caso) e lasciate lì.

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Manovrando

Sono due giorni che raccolgo mezze frasi-spot sulla manovra economica del professore. Io non ho ascoltato l’esposizione del terzetto di governo, non guarderò stasera Porta a Porta e non ho comprato il Sole 24 Ore, esaurito in edicola. 

Cosa ne pensi della manovra?
Non è abbastanza, dovevano toccare i privilegi acquisiti insieme alla riforma delle pensioni.

Cosa ne pensi della manovra?
Cloro al clero.
Ti riferisci all’ICI della Chiesa?
Già.

Cosa ne pensi della manovra?
Non investe nello sviluppo, taglia e basta. 

Cosa ne pensi della manovra?
Sono giorni che fanno inscrezioni sull’IRPEF ed erano tutte sbagliate, è l’unica cosa che non si tocca. E’ stato un complotto per non parlare del vero contenuto.

Cosa ne pensi della manovra?
Ma l’IMU va ai Comuni o allo Stato?

Cosa ne pensi della manovra?
Non hanno toccato i privilegi della politica, mi fanno schifo.

Cosa ne pensi della manovra?
Il sindacato si metterà a difendere le pensioni senza preoccuparsi del resto dei lavoratori.
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Sono passati 10 anni

E’ giovedì pomeriggio, sono stanca, ma voglio andare comunque a fare un giro. Ho dormito male, un po’ scomoda, non so se ho fame, ma qualcosa la mangerei volentieri. Sorrido e guardo fuori dal finestrino e poi decido che sì, sarei andata fuori a fare due passi, a respirare un po’. Mio zio si offre di accompagnarmi per un tratto di strada, perché deve fare delle commissioni in centro. Mi chiede: “ti va di andare in centro o preferivi un altro quartiere della città?”. Non mi importava, ero un po’ stanca e volevo solo passeggiare. Mentre ci avviciniamo alla zona centrale, facciamo la prima sosta: una banca. Mio zio entra e io lo aspetto fuori. Esce dopo pochi minuti e si rimette in tasca quel foglietto che aveva in mano. Chiacchieriamo e mi chiede come stanno le mie sorelle, io sono felice, mi sono ripresa, passeggio e rispondo allegra. Facciamo una seconda sosta: un’altra banca. Lo zio entra e io rimango fuori ad aspettare, lui tira sempre fuori quel foglietto e lo rimette in tasca ed esce. Prima che io gli possa chiedere cosa deve fare in banca, lui continua a chiedermi di raccontare altro. Arriviamo nella piazza centrale della città. Gli edifici pubblici sono circondati da cancelli alti. La situazione è tranquilla: altri passeggiano come noi. Mio zio mi dice di aspettarlo in piazza: “ci vediamo qui fra un’ora, ok?” Va bene, è tutto fantastico, mi sento libera e felice. Lui si allontana e vedo che entra in un’altra banca che si trova in una via che si butta sulla piazza, ci mette poco, ma noto un gesto di stizza quando esce, cosa che non aveva voluto fare in mia presenza. Nella piazza dove mi trovo ogni giovedì pomeriggio si protesta e arriva l’ora dell’appuntamento: mi unisco alle persone, è un’azione d’istinto. Passa l’ora e lo zio torna, ha il viso tirato: ha passato quell’ora entrando in altre banche e nessuna gli ha cambiato quell’assegno di 1000 dollari. Non c’è liquidità, è arrivato il default.

Buenos Aires, un giorno di 10 anni fa.

Ogni paese è diverso, ci sono tanti tipi di default, lo so. Ormai default e spread sono termini evocati in ogni luogo. C’è chi dice cagate colossali e chi usa a fini politici spettri o panacee. Non mi importa. Sì, forse io sono psicotizzata da questa parola. L’unica cosa certa è che non si possono paragonare paesi diversi nel bene e nel male: quindi l’Italia non è come l’Argentina, l’Islanda, gli Stati americani, la Grecia, etc etc. In ogni caso se default controllato dovesse essere in Italia (ne dubito fortemente, ma non sono nè Cassandra, nè una speculatrice finanziaria), di certo non lo deciderà il nostro governo, ma semmai l’Europa o chi si crede il padrone d’Europa. E questa è già una prima differenza importante.

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Destroy the media

E’ molto difficile parlare di precarietà seriamente all’interno dei media. Il motivo è semplice: chi si trova a scrivere di questo argomento, è precario ed inserito nella macchina. Quando anche San Precario ha fatto breccia all’interno del mondo dell’editoria, uno fra tutti il progetto di City of Gods  (un’informazione sofisticata, ma popolare, questo si diceva mentre si costruiva il timone del primo numero), si cercava di scrivere insieme a quei giornalisti che lavoravano all’interno delle testate precarizzatrici. Quando saltellavo nel fiume della Mayday con i materiali da distribuire, una giornalista di Radio Popolare mi voleva intervistare per raccontare la mia “storia precaria”: io accettai e prima di iniziare le chiesi (a microfono spento) “ma tu sei precaria?” e lei mi rispose di sì, ma che stava bene in radio, c’era un bell’ambiente e sentiva che stava imparando tanto. Quando l’altra sera La7 stava girando un collegamento esterno alla trasmissione e voleva anche la voce dei precari, una delle persone che lavoravano lì, ci ha incitati dicendo “forza ragazzi, andate avanti così, anch’io sono precaria!”. Quando l’altro giorno sono andata a fare un colloquio di lavoro nel “più importante quotidiano d’Italia”, le uniche cose di cui non si è parlato sono la tipologia di contratto e la sua durata, considerate informazioni secondarie quando si cerca qualcuno per un lavoro (questo è il problema e non la flessibilità tanto evocata). Uno dei problemi più grossi della precarietà, sono i precari stessi: troppo ricattati per avere il coraggio di reagire. Troppo bisognosi dei due denari di reddito che ricevono, per uscire allo scoperto. Troppo illusi ancora oggi, che la precarietà sia il primo step nell’ingresso del mondo del lavoro – una specie di apprendistato – per evitare di vedere che ormai è diventata strutturale.

Sono due giorni che leggiucchio questo post pubblicato sul blog del gruppo di lavoro Lsdi (Libertà di stampa, diritto all’informazione). Dopo la fase “immedesimazione” e de core, è subentrata quella del paese vecchio e stantio che viene raccontato da giornalisti (che avranno grande esperienza per carità), che sono vecchi e quindi vedono la realtà in un certo modo, poi è arrivata la fase leggiamo fra le righe. Per iscriversi all’ordine dei giornalisti al momento o hai fatto la scuola di giornalismo (e questo è un tasto dolentissimo che non tocco, ma che aprirebbe una voragine) oppure presenti un certo numero di articoli firmati e retribuiti (al minimo sindacale)  nell’arco di 18 mesi: chi poi ti certifica la documentazione è il direttore della testata. Una volta entrato nell’ordine, ti devi iscrivere alla cassa di previdenza (l’inpgi, che è a sua volta suddivisa in due tronconi e anche qui si potrebbe parlare ore di ingiuste suddivisioni) e versare i contributi in base ai tuoi guadagni. Bene: se aumentano gli iscritti all’ordine e non quelli all’inpgi, allora è evidente che qualcosa non quadra, no? I motivi più facili che mi vengono in mente sono due (entrambi fanno parte della mia personale esperienza): 1. lavori in nero, 2. guadagni talmente poco che il contributo minimo all’inpgi è superiore ai tuoi introiti di lavoro.

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