Sono passati 34 anni dall’ultimo colpo di stato argentino. Il 24 marzo 1976 è una data simbolo di quello che ha dato il via alla più terribile dittatura della mia Argentina. Sono giorni che ci penso: la memoria è un ingrediente fondamentale per il mantenimento della democrazia, che pare essere finora il miglior governo possibile. Qui en Italia a un certo punto dicevamo che la memoria è un ingranaggio collettivo. Bene, gli argentini hanno risposto in massa all’appuntamento che porta il macigno della storia di un paese. Molte le iniziative, dal governo, ai sindacati, alla società civile, senza dimenticare i desaparecidos riportati in vita da chi è per strada. La presidenta ha iniziato le manifestazioni la mattina alle 10:45 alla Esma (Escuela Superior de Mecánica de la Armada) diventata simbolo delle torture da cui sono passate almeno 5000 persone. Adesso è la sede dell’Espacio para la Memoria, la Promoción y Defensa de los Derechos Humanos. Dal pomeriggio, dietro lo slogan "Por un bicentenario sin impunidad. Juicio y castigo ya" e uno striscione di 500 metri con su i visi di mille desaparecidos andranno verso Plaza de Mayo, apriranno le Abuelas de Plaza de Mayo e le Madres Línea Fundadora. Andranno avanti tutta la giornata con hijos, la Asociación Madres de Plaza de Mayo di Hebe de Bonafini e molte altre organizzazioni, ma non ho voglia di fare la lista della spesa. Vale di più la testimonianza di chi ha la mia età in Argentina: gli hijos (Hijos por la Identidad y la Justicia contra el Olvido y el Silencio). I figli dei desaparecidos tendenzialmente non hanno ricordi di quello che gli è stato tolto. Il ricordo dei genitori o del momento in cui furono sequestrati è opaco o inesistente. Alcuni di loro decidono di andare in tribunale e testimoniare, ma non è una questione simbolica. Loro portano nella nostra quotidianità "democratica" il dramma dei desaparecidos e delle torture che ancora si estende nel tempo presente con la loro vita.