Don’t cry for me Argentina

Mi sembra così strano leggere gli articoli sulla morte di Néstor Kirchner. A caldo i paragoni con la storia si sprecano. La storia che ho studiato e sentito raccontare in versioni differenti a seconda che fossa una o l’altra persona della mia famiglia, che riempie i miei sogni da sempre e che innonda i miei momenti di svago in questo periodo. Comunque, la scomparsa di Kirchner viene paragonata a quella di Juan Domingo Perón durante il suo terzo mandato (la parola elettorale viene censurata dai giornalisti, almeno): “una figura centrale, intorno alla quale girava la politica, che veniva ordinata con amori, odi e alleanze”. Il paragone con Perón si scioglie quando si contestualizzano le due morti. Un pizzico di ottimismo scorre nelle penne quando dicono che nel 1974 l’Argentina senza il suo condottiero non poteva che scivolare in basso e infatti la forza, la violenza e il terrore hanno preso la scena, adesso, nel 2010, dopo anni di pace sociale (con paramentri argentini), il destino è diverso e razionalmente positivo. Un riconoscimento dato al presidente che nel 2003 prende un paese dove dominava il “que se vayan todos” (che esprimeva chiaramente il discredito di cui godeva la classe politica ), senza un governo (durante la crisi economica si sono succeduti e caduti come carte presidenti su presidenti), senza una direzione verso cui tendere, con più monete in circolazione che province da governare, senza potere politico, con una popolazione con milioni di disoccupati, con la mancanza di credi collettivi e con iu debito enorme da gestire. Quasi nessuno conosceva Kirchner… e ha vinto.

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