Il compagno chi?

Così, tanto per essere chiari. Capire di chi si sta parlando da mesi nella speranza che faccia cadere il governo. Questo era l’editoriale di internazionale di qualche settimana fa.

Calcolare il numero di anni in cui è stato alleato di Silvio Berlusconi (sedici).
Memorizzare almeno un paio di sue frasi famose (“Mussolini è stato il più grande statista del secolo”, La Stampa, 1 aprile 1994; “Ci sono fasi in cui la libertà non è tra i valori preminenti”, La Stampa, 3 giugno 1994).
Elencare i nomi dei deputati per cui ha negato l’autorizzazione a procedere o all’arresto (Cesare Previti; Marcello Dell’Utri; Gaspare Giudice; Amedeo Matacena; Umberto Bossi, accusato per la frase “Col tricolore io mi pulisco il culo”).
Trascrivere i numeri di due delle leggi di cui è stato promotore (189/02, primo firmatario con Umberto Bossi della legge sull’immigrazione clandestina; 49/06 primo firmatario con Carlo Giovanardi della legge che elimina la distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere, e tra consumo e spaccio di droga).
Tradurre la frase del Guardian a proposito della sua presenza nella questura di Genova durante il G8 del luglio 2001 (”He has never been required to explain what orders he gave”).
Esercizi da fare per resistere alla tentazione di non trovare poi così male Gianfranco Fini.

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La Palestina esiste per il Sudamerica

Mentre qua si fanno gli acquisti di natale, il governo compra sostenitori e quegli indefinibilli parlamentari stanno in vacanza fino al 14 dicembre, da un’altra parte del mondo succedono cose.
Brazil – Argentina  – Uruguay hanno proclamato il riconoscimento dello stato palestinese.
Non è una bazza, è un passo vero per sbloccare la situazione ormai cristallizzata del conflitto israelo-palestinese.
Evviva.
Non sto dicendo che adesso tutto si risolverà, ma almeno degli stati sovrani fanno qualcosa di concreto. Il Quartetto è una pagliacciata con Mr. Blair che dice che sarebbe bene riaprire il commercio nella Striscia di Gaza (anch’io penso che sarebbero bene molte cose…). Gli Stati Uniti stanno solo a parlare di bloccare la costruzione di nuovi insediamenti (fra l’altro hanno appena approvato nuove case, quindi non so a cosa serva tutta questa preoccupazione gringa…).
“La República Argentina ha sostenido permanentemente el derecho del pueblo palestino a constituir un Estado independiente”.
Si aspetta a giorni la formalizzazione dell’Uruguay, a quel punto potrebbe innescarsi una reazione a catena con tutto il Mercosur e magari di tutti i paesi che avranno sempre più importanza visto l’inesorabile declino dell’Europa e il ridimensionamento degli Stati Uniti. Critiche piovono da tutto il mondo, meno che dalla Palestina.
jalla

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Visit Palestine :)

Questo manifesto campeggia all’ingresso di casa. E’ un ricordo vivo che ogni volta che si varca la soglia riporta alla memoria luoghi e persone. Espanz sta facendo un gran viaggio da quelle parti.
Ne racconta dei pezzi, tutto sarà impossibile, sul suo blog. Mi fa venire nostalgia, ma mi fa sentire un po’ partecipe 🙂
Al momento è a Nablus e ci è arrivata in bici passando in mezzo a check point, incontri inaspettati, praticità palestinese e voglia di scoprire.
Aspetto il prossimo report dalle terre contese.
Sento il profumo dell’humus, vedo gli ulivi e le colline rocciose. Il bianco è il colore che predomina, come se potesse cancellare tutte le atrocità che si compiono nel nome della follia.

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Le cassiere vanno pagate di più

E’ un lavoro ampiamente sottovalutato. Ci vuole decisamente un aumento del riconoscimento a livello prima di tutto monetario. Il punto d’osservazione dalla cassa di una delle più grandi ibrerie italiche, così rossa e di sinistra (arg!), non è male: Eco vende soprattutto ai 60enni incravattati, Ammaniti spopola fra le sciure che si sentono radical chic e comunque fra le femmine, Eto’o è sempre nelle mani dei nonni che immagino facciano i regali ai nipotini figli del triplete 😀
Mi raccomando usate la testa ed evitate di portare resi, buoni, di chiedere fatture chiaramente fasulle sotto Natale… aspettate l’anno nuovo e bona lì. E poi è chiaro che non sono spese aziendali da fatturare: che società è che compra Guida di Barcellona + libro per bambini + Le ricette di nonna pina… dai! Usate il tempo per odiare la classe politica che si prende una vacanza fino alla fiducia del 14 dicembre. Suvvia. Andate oggi pomeriggio sotto la torre di Imbonati, che è meglio 🙂

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A Brescia niente…vai Marcelo!

A Brescia il 28 maggio 1974 non è successo niente. Del resto quel giorno durante una manifestazione antifascista indetta dai sindacati è esplosa una bomba che ha ucciso otto persone e ferite centodue. Partiamo inoltre dalla consapevolezza che le uova lanciate sul portone di un sindacato sono considerate azioni terroriste. Diventa sempre più intricato spiegare che cosa sia il terrorismo. Allora smettiamola, questo è uno dei messaggi che arrivano dal tribunale visto che anche il terzo processo non ha individuato i colpevoli. La corte di assise di Brescia ha assolto Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti per non aver commesso il fatto. L’Italia non trova mai i colpevoli, perché alla fine Brescia doveva avere dei colpevoli e piazza Fontana o Ustica no? Non siamo forse in democrazia?
Dopo il 28 maggio 1974 continuò a non succedere più niente: il 4 agosto c’è stata la strage sul treno Italicus (dodici morti). Poco dopo è venuto alla luce il tentato golpe della Rosa dei venti. Poi un altro tentativo di golpe, quello di Edgardo Sogno. Ma non facciamo la lista della spesa.

¿Marcelo qué tal? A Brescia e a Milano gli immigrati sono saliti sulla gru e sulla torre di Imbonati. Ricordo le code di persone nel 2009 per partecipare alla possibilità di regolarizzazione concessa dal Ministero dell’Interno per colf e badanti. Siamo tutti e tutte colf e badanti in fondo in fondo e quindi si presentano non solo queste categorie. Chiunque riesce a trovare un italiano che accetti di presentare la domanda, ci prova (pagando 500 euro e i contributi Inps). Il permesso di soggiorno è legato al lavoro: io sarei già stata espulsa. Siamo alla fine del 2010 e poche domande hanno avuto risposta. Si sale sui tetti del mondo per difendere i diritti. Poi è Marcelo (argentino, 40 anni, sulla torre a Milano) a ricordare agli italiani quali sono i valori della Resistenza.

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Potevi anche morire prima.

Dove la giustizia non arriva, arriva la morte. E’ morto Emilio Eduardo Massera, Capo di Stato Maggiore della Marina militare argentina.

Non cambiano mai e le loro parole lo dimostrano, ma i poteri sono così forti e radicati che, se non ci pensa la morte, i peggiori strateghi dell’orrore non verranno mai puniti. Del resto l’impunità è un valore nella nostra società democratica. Massera, quando si dovette presentare a giudizio, pronunciò anche queste parole che testimoniano quanto non gliene importasse nulla delle accuse e quanto si sentisse al di sopra di qualsiasi istituzione: “de que cuando la crónica se vaya desvaneciendo porque la historia se vaya haciendo más nítida, mis hijos y mis nietos pronunciarán con orgullo el apellido que les he dejado”. Probabilmente i suoi discendenti si faranno chiamare con orgoglio Massera.

Faceva parte della prima fra le giunte che governarono il paese dal 1976 al 1982 (i compagni di avventura erano Videla, Galtieri, Agosti). Lo si ricorda bene per il processo di Riorganizzazione Nazionale. E’ il responsabile della sparizione e della morte di migliaia di militanti argentini. Ha diretto la Esma (Escuela de Mécanica de la Armada), sicuramente uno dei più grandi centri di detenzione degli oppositori al regime che adesso è un museo. E’ stato membro della nostrana P2 e qua si potrebbe aprire un lungo capitolo.

Finalmente nel 1985 viene condannato  all’ergastolo per violazione dei diritti umani, assassinio, tortura e privazione illegale della libertà. Il Presidente Menem fa la famosa amnistia del 1990 e torna libero. Nel 1998 viene di nuovo accusato per furto di neonati. E’ morto senza condanne, ma con molte accuse: crimini contro l’umanità, fucilazioni illegali, sparizioni, assassinii, torture, detenzioni illegali in campi di concentramento e sterminio, sequestri di minorenni, lanci di prigionieri vivi nell’oceano.

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Che palle sto centrosinistra

Il giorno in cui non si vuole fare nulla. Ci vuole, ci sta, ok. Ho un sacco di giornali da leggere: cosa si propina ai lettori. Lo sguardo viene colpito dalla grafica, dai colori e poi dai contenuti, che, nella mente di chi non ha intenzione di lavarsi nemmeno la faccia, sembra tutto un calderone. Ma è quando si abbassano le difese, che i messaggi giungono più facilmente dentro la testa. Le pagine si sfogliano più velocemente della capacità di assimilare le storie narrate e alla fine viene fuori un mix di 200 pagine che forma una storia a sè. La rivista che ho letto mi comunica questo:

Viva il CENTROsinistra
democrazia occidentale, diritti, riclico di lusso.

Se nel caseggiato nasce un bambino, una “buona notizia” per definizione, al massimo qualche inquilino del palazzo, quasi sempre una donna, chiederà come stia la madre e quanto pesi il neonato. Ma se qualcuno muore, la curiosità si scatena. Di che cosa è morto, come, quanto, quanti anni aveva, in casa o in ospedale, aveva figli, era sposato, di dov’era, era ricco? Possiamo consolarci pensando che se non fossimo una specie curiosa e inquieta, se non portassimo in noi l’insopprimibile voglia di sapere, di guardare, di ficcare il naso fuori dalla nostra caverna, probabilmente mangeremmo ancora carne cruda con le mani nude, sperando di non essere mangiati da quelli che vorremmo mangiare. Al vecchio partito comunista cinese, aggrappato alla retorica di Mao e ai metodi di Lenin, mancano le parole nuove con cui parlare a generazioni nuove. Ci si aspetterebbe un “doppiaggio politico” coerente. Il potere recita invece con un playback non sincronizzato. Frasi auliche, metafore incomprensibili, slogan storicizzati, parole d’ordine invecchiate con il Novecento. Il Paese produce innovazione e si appresta ad esplorare lo spazio, ma parla di “lotta di classe” e di “rivoluzione proletaria”. Ero ventenne, e membro del partito comunista italiano. Partì per l’America nel 1979. Un quarto di secolo dopo, la cosa è venuta a galla parlando con l’avvocatessa di San Francisco che seguiva la mia domanda per la Green Card. Infine è arrivato il giorno del grande esame. Mi chiedevo se sarebbe mai affiorata la “questone”. Ci siamo arrivati. Congratulazioni, lei è un Permanent Resident. Se sarà ancora qui e se lo vorrà, tra cinque anni saremmo felici di fare di lei un cittadino degli Stati Uniti. Perchè quel funzionario, vedete, era cinese. Cioè, cinese-americano, s’intende: per essere dipendente dell’Amministrazione federale degli Stati Uniti ovviamente lui la cittadinanza l’aveva già. La prima volta che Patsy Kensit mi insegnò qualcosa, erano gli anni Ottanta. Certo, le donne oggi hanno più spazi, sono rappresentate meglio nel lavoro, in politica, ma nel profondo non è poi cambiato molto in 30 anni. C’è ancora una buona dose di misoginia nella mentalità della gente. Puoi mentire con le parole, ma con il corpo no. “Non è la benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo per il nostro desinare – scrive Smith nella Ricchezza delle nazioni – Noi non parliamo loro delle nostre necessità ma della loro convenienza”. Ma le api, più che dedite al vizio, sono un incredibile motore della natura. E forse non è un caso che proprio le api siano vittime negli ultimi tre decenni di una strage originata dalla diffusione di pesticidi utilizzati per aumentare la produttività dell’agricoltura. Shopping bag realizzata con tende da doccia riciclate, Carmina Campus (280 euro).

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Don’t cry for me Argentina

Mi sembra così strano leggere gli articoli sulla morte di Néstor Kirchner. A caldo i paragoni con la storia si sprecano. La storia che ho studiato e sentito raccontare in versioni differenti a seconda che fossa una o l’altra persona della mia famiglia, che riempie i miei sogni da sempre e che innonda i miei momenti di svago in questo periodo. Comunque, la scomparsa di Kirchner viene paragonata a quella di Juan Domingo Perón durante il suo terzo mandato (la parola elettorale viene censurata dai giornalisti, almeno): “una figura centrale, intorno alla quale girava la politica, che veniva ordinata con amori, odi e alleanze”. Il paragone con Perón si scioglie quando si contestualizzano le due morti. Un pizzico di ottimismo scorre nelle penne quando dicono che nel 1974 l’Argentina senza il suo condottiero non poteva che scivolare in basso e infatti la forza, la violenza e il terrore hanno preso la scena, adesso, nel 2010, dopo anni di pace sociale (con paramentri argentini), il destino è diverso e razionalmente positivo. Un riconoscimento dato al presidente che nel 2003 prende un paese dove dominava il “que se vayan todos” (che esprimeva chiaramente il discredito di cui godeva la classe politica ), senza un governo (durante la crisi economica si sono succeduti e caduti come carte presidenti su presidenti), senza una direzione verso cui tendere, con più monete in circolazione che province da governare, senza potere politico, con una popolazione con milioni di disoccupati, con la mancanza di credi collettivi e con iu debito enorme da gestire. Quasi nessuno conosceva Kirchner… e ha vinto.

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Oh, Chaco

Per fortuna non sono nata ad ottobre e nemmeno il 12. Nel giorno della scoperta dell’America mi piace ricordare che anche in Argentina resistono delle comunità indigene. Alcune di queste popolazioni del nord dell’Argentina stanno lottando, per la verità insieme a contadini creoli, per avere la terra che è stata loro sottratta (usiamo parole diplomatiche) alla fine dell’Ottocento. Di solito si ricorda la feroce campagna contro gli indios del sud, ma anche nella zona di Salta – la “conquista del Chaco” – sono stati attaccati e in buona parte uccisi. Parliamo dei Qom, Pilagá, Mocoví, Wichí, Chorotes, Chulupies, Tapietes, Guaycurúes, Lules, Vilelas e Tonocoté.
La Red Agroforestal Chaco Argentina (Redaf) ha rilevato che è in atto una nuova avanzata sul territotio degli originari abitanti della zona. Dal 2000 ad oggi si parla di 164 conflitti che hanno come rivendicazione la terra e la preservazione dell’ambiente. Le dimensioni territoriali su cui si stanno facendo i giochi ammontano a circa 8milioni di ettari e 950mila persone, la maggior parte delle quali sono indigene e contadine che abitano nelle sei provincie del nord dell’Argentina. L’89% dei conflitti si è generato a seguito del cambiamento del modello agricolo della zona (e non solo quella), di cui l’emblema è la coltivazione di soia transgenica. Sulla soia ogm si possono ricordare mille articoli e scazzi, diciamo così, con il Brasile e una storiella che mi ha raccontato mio zio quest’estate che è venuto a fare un salto nella vecchia Europa. Un’amica d’infanzia di mio padre e dei miei zii ha un terreno abbastanza grande in Patagonia dove ha un allevamento di mucche. A seguito di un’improvvisa necessità di denaro per curare suo fratello ha acconsentito a usare parte del terreno per coltivare soia. Credo che questo dia l’idea dell’importanza che ha la soia in Argentina, senza dimenticare la presidente Kirchner che è volata recentemente in Cina a stringere rapporti commerciali proprio per l’esportazione di soia visto che i cinesi temevano una riduzione delle loro entrate a causa degli incendi in Russia.
Tornando al Chaco, la Redaf scrive che la radice dei conflitti sulla terra è la disputa per l’uso e il controllo dello spazio territoriale a partire dall’imposizione di una cultura sull’altra. Da un lato quello che chiamano “agronegocio”, per il quale la terra è uno spazio per produrre e fare affari, e dall’altro la cultura indigena e contadina, per la quale la terra è uno spazio di vita.
Nel 1997 sono state raccolte 11milioni di tonnellate di soia e sono stati usati 6milioni di ettari. Nel 2007 sono state raccolte 47milioni di tonnellate e sono stati usati 19milioni di ettari (la metà della superficie coltivabile del paese). Nel 2007, il Governo di Salta ha firmato un accordo in base al quale si è impegnato per redistribuire 643mila ettari (400mila agli indigeni e 243mila ai creoli). Il Redaf avverte che i trasferimenti dei titoli sono attesi da tempo. Per non parlare della costruzione del ponte sul fiume Pilcomayo con approvazione del governo nazionale senza consultare le comunità della zona. Il ponte serve a facilitare il commercio nel Mercosur, ma si estende e taglia il territorio abitato dalle varie comunità indigene.
Il Redaf continua dicendo che si tratta di una lotta per conservare un’identità, per mantenere un modo di vivere e di produrre. La terra è un bene sociale e non un bene economico, una parte costitutiva della loro visione del mondo e della loro religiosità.
sito Redaf

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Io & Luana. Viva Dilma!

E’ lunedì e questo già non depone a favore dell’umore di una sottoccupata. Piove, ma quanto sta piovendo a milano ultimamente… chissà se esploderà di nuovo il Seveso. In ogni caso vado a fare un colloquio, cioè, avevo un appuntamento a seguito di una mia candidatura su uno dei vari siti internet dedicati alla ricerca del lavoro. La figura che cercavano non era propriamente chiara, l’offerta era dentro la categoria comunicazione-marketing-pr. Quindi poteva essere qualsiasi cosa, per essere chiari: dal call center, alla costruzione di banner, alla vendida di spazi pubblicitari. Temevo il call center. In ogni modo a livello esplorativo vale tutto.
Bene, mi reco all’indirizzo. Arrivo davanti al civico che mi ero appuntata e non esiste il nome dell’azienda.
Sarà mimetismo?
Sarà che ho sbagliato a segnare il civico?
Sarà che è una sola?
Nel mio inguaribile ottimismo (ahahahaah), credo di aver segnato male il civico e quindi mi metto a leggere i citofoni dei portoni prima e dopo. In quel mentre mi si avvicina una ragazza, fantastica e tamarra, tutta vestita di bianco. Una creatura coraggiosa in una giornata di pioggia e monnezza per le strade. Lei è Luana. Lei sta cercando quello che sto cercando io. Lei deve fare un colloquio alla mia stessa ora. Lei era agitata ed era un’ora che girava in lungo e in largo la via senza trovare un bel niente. Il civico che avevano dato a me era il 12, quello a lei il 55. Nel 12 non c’era l’ombra dell’azienda e al 55 c’era un magazzino del retro della Stazione Centrale poco invitante. Ma Luana prende coraggio visto che adesso ci sono anch’io. Mi trascina a chiedere nei bar della via se qualcuno avesse mai sentito il nome dell’azienda. Alla fine ci demotiviamo e ci auguriamo vicendevolmente giorni milgiori.

La secunda vuelta. Quanti ricordi. Non ero in Brasile quando Lula fu eletto al secondo turno, ero in Argentina e con mia zia avevamo programamto di fare un salto nel grande paese latinoamericano per essere lì al momento della vittoria. E’ evidente a me stessa che anche stavolta non sarò in Brasile per la secunda vuelta di Dilma Rousseff. Ma ci rendiamo conto che il latinoamerica, il regno del machismo, continua a portare al potere delle donne? Adesso vediamo se Dilma ce la farà. Vedremo se l’ecologista (vabè, semplifichiamo) Marina Silva darà dichiarazioni di voto (alla fine lei, che è arrivata terza, ha preso 20milioni di voti). Ma poi ci rendiamo conto che vanno al ballottaggio la candidata del PT contro il candidato socialdemocratico José Serra? E’ un altro mondo, veramente.

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